Come avrai già sentito dire, la Fisioterapia è un mondo così vasto che comprende al suo interno diverse tipologie di trattamenti e di approcci terapeutici, ognuno dei quali può essere adatto a una particolare condizione clinica, a un particolare distretto anatomico, a un particolare tipo di paziente e perché no, anche a un particolare tipo di fisioterapista.
Infatti ogni professionista sente più adatto alle sue competenze, alle sue passioni e al suo modo di essere una particolare nicchia di approcci terapeutici. In questo articolo tratteremo della Terapia Miofasciale, andandone ad esplorare il significato, la storia, le applicazioni, le patologie e i pazienti in cui viene attuata. Buona lettura
La fascia è il tessuto connettivo che circonda i nostri muscoli, le nostre ossa, i nostri nervi, i nostri organi, e le nostre articolazioni. È ritenuto infatti un sistema fluido tensionale che collega e sostiene tutto il contenuto del nostro corpo.
Secondo gli studiosi della fascia, quest’ultima può essere paragonata a una tuta che riveste il nostro corpo dalla testa ai piedi. Se si applica una tensione in un punto della tuta è probabile che questa si rompa in una zona differente dal punto di trazione.
Questo spiega il motivo per cui a volte delle sintomatologie cliniche come mal di testa, dolori al ginocchio o formicolii alla mano possono avere la loro causa in distretti distanti che apparentemente sembrano non essere in relazione con essi.
La Terapia Miofasciale significa letteralmente: terapia per il sistema muscolare e fasciale.
Si tratta di un insieme di tecniche manuali utilizzate per la mobilizzazione dei tessuti molli (muscoli e fascia) che si occupano di trattare il dolore miofasciale e le sindromi dolorose su base biomeccanica e riflessa. In questo tipo di trattamento si sente spesso parlare di “trigger points” di cui parleremo successivamente.
Questa branca della Fisioterapia pone il suo focus sul trattamento del tessuto connettivo, che ancora oggi non è adeguatamente considerato secondo gli “addetti ai lavori”, che lo ritengono una delle colonne portanti del nostro sistema motorio. Quando il tessuto connettivo a seguito di infortuni, traumi o posture errate ha una limitazione del suo movimento c’è un corrispettivo aumento della sua densità in determinati punti. Una condizione di questo tipo può sviluppare una realtà clinica spiacevole per il paziente, dando luogo a dolori e restrizioni di movimento.
Questo tipo di trattamento ha l’obbiettivo di ampliare l’arco di movimento, liberando il paziente da sintomatologie algiche e altre sensazioni fastidiose come bruciori, parestesie, formicolii e torpori. Si ritiene inoltre che il trattamento della fascia sia importante per stimolare il sistema nervoso centrale al fine di migliorare la coordinazione motoria.
Il trattamento del tessuto muscolare e fasciale è una pratica molto antica, se pensiamo che con l’esecuzione di una normale massaggio stiamo stimolando questo tessuto.
In Europa negli ultimi anni abbiamo avuto lo sviluppo di veri e propri metodi di valutazione e trattamento di questo sistema, costituiti di test diagnostici motori e palpatori specifici che permettono di individuare quale sia l’area con maggiore restrizione di movimento fasciale, che non sempre corrisponde all’area del dolore stesso.
Tra i metodi che hanno avuto maggior successo c’è il metodo “Stecco”, che porta il nome del suo ideatore: il Dott. Stecco. Questo metodo, che attualmente è insegnato anche all’estero, è relativamente recente poiché si è diffuso negli ultimi trenta anni e consiste nell’individuazione e nel trattamento di punti fasciali ben specifici. Il trattamento avviene manualmente con l’utilizzo delle nocche delle dita del terapista, e quando necessario anche della prominenza ossea dell’olecrano del gomito.
Negli ultimi anni in Italia molti fisioterapisti hanno iniziato ad utilizzare degli strumenti per il trattamento della fascia e dei trigger point. Ci sono diverse scuole di formazione che insegnano l’utilizzo degli strumenti di cui si avvalgono.
Si stratta quasi sempre di accessori in metallo (acciaio) che hanno diverse forme, ognuna delle quali si adatta a un particolare distretto anatomico e alla consistenza dei diversi tessuti. Tra le tecniche più utilizzate in Italia ci sono la Graston Technique, la IASTM, la Tecnica Gavilàn e Fascia Q.
Ogni scuola presenta delle varianti ma sono tutte accumunate dal trattamento del tessuto fasciale, dalla riduzione dello sforzo manuale da parte del fisioterapista (che al posto delle dita si avvale di strumenti per trattare il paziente). Talvolta durante l’utilizzo dei tools avviene contemporaneamente all’esecuzione di un esercizio terapeutico o come parte integrante di un progetto terapeutico strutturato.
Si tratta di una pratica, il più delle volte, non dolorosa e semplice da applicare, che richiede solo l’utilizzo del tool, di un gel o una cera per permettere al tool di scivolare meglio sulla cute senza creare abrasioni, e chiaramente del paziente.
La cupping therapy, conosciuta in Italia anche come “coppettazione” è una tecnica che fu utilizzata per la prima volta in Medicina Cinese nel secondo secolo d. C. e che recentemente è tornata ad essere usata molto, soprattutto in ambito sportivo. Ricordiamo infatti la nuotatrice Cinese Wang Qun alle Olimpiadi di Pechino 2008 e Michael Phelps nelle Olimpiadi del 2016 con la schiena segnata da cerchi rossi.
Consiste nell’applicazione di vere e proprie coppette, di varie dimensioni, in punti specifici del corpo. Le coppette vengono applicate in modo tale da creare una condizione di sottovuoto che viene generata per mezzo di una fiamma o per effetto meccanico. Il primo caso, è il più antico, consiste nell’accensione di un fiammifero sotto la coppetta per alcuni istanti, il tempo necessario per generare la fuoriuscita di aria e la formazione del vuoto. Nel secondo caso si utilizzano delle coppette connesse a un sistema di aspirazione che riduce l’aria al loro interno.
Lo scopo della coppettazione è di ridurre il dolore e migliorare il movimento dei tessuti. L’applicazione della cupping therapy può essere statica o dinamica. Nel primo caso si lasciano le coppette fisse in punti specifici per un tempo prestabilito, mentre nel secondo caso una volta generato il sottovuoto la coppetta viene mossa, lungo la cute. La cupping therapy dinamica è utilizzata molto nel trattamento di aderenze e cicatrici, scollando meccanicamente i primi strati di tessuto, consente una migliore mobilità connettivale.
Ultimamente la cupping therapy è stata inserita anche nei protocolli di trattamento della cellulite, si ritiene infatti che contribuisca al miglioramento del drenaggio e della circolazione. Occorre precisare che come molte altre tecniche della Medicina Orientale, anche la cupping therapy non è supportata da moltissimi studi scientifici, ciò però non significa che non funzioni.
La Flossing Therapy (F. T.) è una particolare tecnica di bendaggio che dal 2015 ha avuto un importante sviluppo in Germania (Physiopraxis 9/2015), e negli USA è nota con il nome di “Voodoo Flossing”, basata sugli studi del Dott. K. Starrett. In cosa consiste questa terapia?
La F.T. consiste nell’applicazione di bende elastiche non adesive e ben più rigide del taping. Il fisioterapista le applica nella regione corporea con restrizione di movimento. L’applicazione avviene con un importante tensione, al fine di produrre una compressione nella zona da trattare. Il razionale terapeutico non è ancora supportato da importanti studi scientifici, al momento si suppone che tale pressione ha effetto sulla riduzione della sintomatologia algica e sul miglioramento della mobilità tissutale.
Ovviamente, data la particolarità della tecnica, non si può applicare in tutte le regioni del corpo, come ad esempio la gabbia toracica, ma è adatta per lo più ad articolazioni periferiche come gomito, polso, ginocchio e caviglia. La compressione effettuata dalla benda viene mantenuta per un tempo che varia dai 2 ai 5 minuti. Durante questi minuti il terapista può mobilizzare l’articolazione passivamente o richiedere al paziente di effettuare alcuni esercizi specifici. Dopo di che, quando viene rimossa la benda si rieseguono gli stessi movimenti, notando i progressi ottenuti.
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