Data pubblicazione: 19/03/2019
Ultimo aggiornamento: 10/04/2019
Ogni fisioterapista ha visto l’espressione di sgomento e paura nel paziente - che soffriva di dolore cronico - a cui veniva chiesto di fare degli esercizi fisici per la prima volta, magari dopo tanto tempo.
Anche il solo proporre dell’attività di questo tipo, proprio per la paura che provoca, potrebbe essere davvero scoraggiante per il paziente. Perciò è essenziale che si conoscano non solo le tecniche di attuazione di tali metodologie ma anche il giusto approccio psicologico verso chi sta soffrendo. Quando si parla di dosaggio (o quota), viene subito in mente quello dei vari medicinali e la loro posologia. Purtroppo si ha la tendenza a “prescrivere” quasi sempre le classiche 3 serie da 10, 12 o 15 ripetizioni.
Un principio che andrebbe, dopo tantissimi decenni, modificato in funziona di una metodologia su misura in funzione dei bisogni specifici delle persone.
Ogni fisioterapista ha visto l’espressione di sgomento e paura nel paziente - che soffriva di dolore cronico - a cui veniva chiesto di fare degli esercizi fisici per la prima volta, magari dopo tanto tempo.
Anche il solo proporre dell’attività di questo tipo, proprio per la paura che provoca, potrebbe essere davvero scoraggiante per il paziente. Perciò è essenziale che si conoscano non solo le tecniche di attuazione di tali metodologie ma anche il giusto approccio psicologico verso chi sta soffrendo. Quando si parla di dosaggio (o quota), viene subito in mente quello dei vari medicinali e la loro posologia. Purtroppo si ha la tendenza a “prescrivere” quasi sempre le classiche 3 serie da 10, 12 o 15 ripetizioni.
Un principio che andrebbe, dopo tantissimi decenni, modificato in funziona di una metodologia su misura in funzione dei bisogni specifici delle persone.
Chi si è allenato in palestra sa che variare ripetizioni e serie serve all’organismo - in modo particolare ai muscoli - per non abituarsi ai carichi e avere migliori risultati sia per quanto riguarda l’ipertrofia che la definizione.
In Fisioterapia, al contrario, non si è mai data troppa importanza al “modo” di fare gli esercizi, innamorandosi dello standard 3 x 10. In pratica si fanno sempre dieci ripetizioni, ci si riposa un tempo variabile (di solito almeno un minuto), per poi ripetere l’esercizio per un totale, appunto, di tre serie.
Ad aver creato tale protocollo fu Thomas DeLorme che curava soldati feriti durante la Seconda Guerra Mondiale. Egli notò come questi uomini, a fronte di ferite anche gravi, traessero il maggiore beneficio seguendo il 3 x 10.
Il suo modello venne così scelto, solo in minima parte studiato e modificato, dalla maggior parte dei centri di riabilitazione (e anche di fitness). Il principio del metodo era banale: aumentava la forza e velocizzava il recupero attenuando il dolore (Fonte: Todd, Shurley e Todd, 2012).
Con questo non si intende suggerire che l’esercizio fisico non attenui il dolore: ci sono tantissime ricerche che al contrario indicano come esso porti a una ipoalgesia indotta (Fonti: (Bement & Sluka, 2016; Frey-law & Sluka, 2017; Koltyn, Brellenthin, Cook, Sehgal, & Hillard, 2014; Lima, Abner, & Sluka, 2017; Naugle, Fillingim, & Riley, 2012).
Diviene necessario uno studio più approfondito, soprattutto caso per caso, così da comprendere la validità specifica dell’esercizio fisico in chi soffre di dolore cronico.
Ormai i fisioterapisti dovrebbero conoscere, oltre al loro mestiere, anche le basi dell’esercizio fisico per poterlo applicare nel modo opportuno ai loro pazienti. Esistono, in linea di massima, 4 fondamentali principi:
Se si vuole creare un programma di esercizi, in funzione di un approccio fisioterapico per affrontare il dolore, è opportuno conoscere appieno i 4 principi sopraelencati.
Va riconosciuta la grande difficoltà che le persone, vittime di dolore cronico, sono costrette ad affrontare quando fanno dell’esercizio fisico.
Spesso medici e terapisti tendono ad allarmare troppo i loro pazienti dicendo loro di fermarsi non appena sentono fastidio, andando così a rinforzare quello che è conosciuto come: comportamento di evitamento (Fordyce, 2015).
Gli studi dimostrano come alcuni medici possano instillare nei pazienti, ovviamente in modo non intenzionale, la convinzione che il dolore sia correlato direttamente al danno incoraggiandoli a smettere di fare esercizio.
Siamo di fronte a un meccanismo facilmente spiegabile: siamo creature sociali che non amano vedere gli altri soffrire, i fisioterapisti - oltre a essere persone - sono anche professionisti il cui fine è di far star bene gli altri.
Capire come fare esercizio fisico, le sue implicazioni fisiologiche o anche il riacutizzarsi del dolore stesso, sono argomenti complessi poiché il dolore è un fenomeno multidimensionale.
I medici e gli specialisti devono capire che provare dolore, non significa per forza:
Si deve essere freddi, prendere le distanze dal “dolore” e accettare che possa essere parte integrante di una terapia basata, ad esempio, su un allenamento che potrebbero provocarlo.
Ecco un breve decalogo – per fisioterapisti – al fine di rendere l’esperienza il più gradevole possibile:
Seguire questa linea guida è un buon punto di partenza per avere un approccio più positivo ma che “accetti” l’esperienza del dolore come parte integrante della terapia.
Vediamo ora alcuni degli errori più comuni e cose da NON fare:
Come si evince da questa sommaria lista si dovrebbe ascoltare il paziente e, allo stesso tempo, conoscere le varie tecniche per evitare che questi – per paura del dolore – lo rifugga andando a incidere negativamente sulla terapia.
Anche se l’esercizio potrebbe essere associato a un aumento del dolore, per chi ne soffre in modo cronico, difficilmente questo si tradurrà in un ulteriore danno ai tessuti.
Ad esempio, se si lavora con un paziente che ha una maggiore sensibilità si può:
A dimostrazione una meta-analisi di Smith et al., (2017) ha mostrato che fare esercizi – quando si ha dolore – offra benefici a breve termine: ciò dovrebbe tranquillizzare medici e pazienti sul fatto che si senta dolore durante la terapia.
Una più attenta analisi su questa meta-analisi ha evidenziato che i partecipanti ai test fossero incoraggiati dalla promessa che il dolore:
Il dolore è un fenomeno fortemente soggettivo, tanto che un 5/10 per una persona, dovuto da un dato movimento, può essere invece percepito come un 2/10 o anche un 8/10 da altri.
Uno dei metodi maggiormente diffusi per “allenarsi” anche quando c’è dolore (e contro di esso) è di lavorare per livelli prestabiliti (o quote).
Il meccanismo è abbastanza semplice: si prestabilisce un quantitativo di attività che deve essere svolta indipendentemente dall’intensità del dolore che la persona sente.
A questo punto si aumenta il carico di lavoro in modo graduale, permettendo al paziente di “abituarsi” al dolore.
Siamo di fronte a una metodologia combinata con un approccio sistemico in cui, una volta raggiunta la quota di lavoro, il soggetto viene ricompensato (Fordyce, 2015).
In termini teorici quello a “quote” potrebbe sembrare un metodo valido, che fa leva su una crescita costante e lineare. Alcuni lo paragonano al salire le scale, dando un obiettivo da perseguire in tempo prestabilito.
In pratica il lavoro che si dovrebbe svolgere, sia nelle buone che nelle cattive giornate, dovrebbe essere sempre lo stesso senza tenere conto – altro limite di questo metodo – che ogni persona è differente e reagisce con modalità proprie rispetto al dolore.
Tale limite si manifesta maggiormente proprio quando non c’è comprensione, da parte del paziente, dello stesso metodo e dei suoi principi con conseguente fallimento della terapia.
Di recente si sta discutendo molto sul miglior approccio da seguire e quali principi di allenamento applicare. Sebbene il lavoro per quote si sia dimostrato utile (esso mira ad aumentare gradualmente i carichi di lavoro), mostra però evidenti limiti, per questo si sta provando a combinarlo con metodi più dinamici, dosati sul singolo individuo.
Per dosaggio si intende la “frequenza”, ossia il numero di volte in cui si allena nell’arco di una singola settimana. Per intensità, invece, si intende il modo in cui ci si allena (quanto duramente). La durata è il tempo che si impiega per una sessione di allenamento nonché il periodo specifico nel quale si effettuano le varie sessioni. È possibile, quindi, implementare delle linee guida sul dosaggio dell’allenamento per persone che soffrono di dolore cronico.
È una metodologia che serve per costruire la tolleranza “su misura” al dolore. La versatilità dei “programmi contingenti” fornisce ai pazienti la possibilità di vedere aumentare i carichi di lavoro attraverso l’utilizzo di scale di valutazione soggettive e personali, ottenendo anche un miglioramento dal punto di vista fisico.
Il volume dell’allenamento è ottenuto attraverso una serie di semplici calcoli su specifici parametri immessi dal fisioterapista in funzione della persona, dei bisogni, dello stato di forma del paziente. Nello specifico, se volessimo creare una scheda basterebbe seguire lo schema seguente:
Come si nota il Totale lo si ottiene moltiplicando Frequenza X Durata X Intensità. Il Volume totale, infine, moltiplicando il Totale X Carico. Una volta creata un’intera scheda di allenamento sarà possibile seguire un programma che indicherà il carico finale per poterlo poi, gradualmente, incrementare in funzione delle esigenze del paziente.
In precedenza si lavorava quasi esclusivamente sull’incremento della forza fisica perché produceva una attenuazione del dolore. E infatti, in qualsiasi programma di recupero, è essenziale il lavoro con i pesi.
Una persona che soffre di dolore cronico avrà timore di svolgere determinati esercizi, in modo particolare proprio quelli con i pesi, per paura che possano provocare danni ulteriori. Ciò deriva dalla mancata comprensione dei meccanismi del dolore, spingendo il soggetto a evitare alcune attività.
Avere un approccio contingente permette al fisioterapista di modulare i vari parametri della scheda di allenamento per avere il medesimo Volume Totale. Di conseguenza sarà possibile diminuire il Carico (che indica il peso utilizzato), magari a favore delle Ripetizioni (Reps).
Come si vede il Volume Totale (420, 1200) per le due schede è identico, a variare sono i parametri che il fisioterapista può modulare in base alle esigenze/paure del paziente. Utilizzare un approccio contingente permette quindi di passare da un ragionamento:
Mettiamo per esempio che una persona decida di riprendere l’attività ciclistica a livello amatoriale. Si decide un programma con due sessioni a settimana per 10 minuti sulla cyclette, con una intensità di 5 e un carico di 6 (carico impostato sulla bicicletta). Il Volume Totale sarà così dato:
Potrebbe capitare che il paziente rifiuti questa scheda di allenamento perché timoroso che i 10 minuti (ovviamente tenendo conto di una condizione di dolore cronico), lo spaventino.
A questo punto sarà possibile modificare la durata portandola a 2, mantenendo la medesima frequenza, però suddividendola in periodi di 2 minuti l’uno. Si avrebbero quindi 2 sessioni x 5 serie da 2 minuti x intensità 5 e carico 6 e un Volume Totale di 600.
Con questo approccio è possibile stimolare il fisico del paziente anche a fronte delle sue necessità (e timori causati dal dolore), cambiando i singoli parametri al fine di raggiungere l’obiettivo prestabilito. È chiaro come il volume di carico sia il medesimo nei vari scenari nonostante la riduzione del tempo continuativo di allenamento ma con l’aumento della frequenza.
Al paziente verrà così concesso di riposarsi in base ad accordi preliminari e con il raggiungimento dei valori prestabiliti. Si crea così anche un meccanismo premiante: conseguimento dell’obiettivo → riposo. Il fine ultimo di questo approccio è di incoraggiare l’aumento dell’esercizio fisico, anche a fronte del riacutizzarsi di alcuni fastidi che andrebbero “ignorati” per disinnescarne l’impulso negativo che spinge, spesso, i pazienti ad arrendersi di fronte al dolore.
Siamo di fronte a una metodologia che “naviga a vista”, in cui è essenziale l’apprendimento e l’attenzione massima da parte del fisioterapista e della persona che allena, per fornire i giusti feedback su eventuali aumenti della tolleranza fisiologica. In generale si dovrebbe utilizzare una scala soggettiva che aiuti per capire il dolore e dargli il giusto “peso” non solo durante l’allenamento.
In generale si possono usare l’RPE per l’intensità e il SUDS per monitorare il livello di sofferenza relativo al compito che si sta svolgendo (es. salire le scale).
È importante lavorare sul dosaggio (o quota) con una grossa enfasi alla contingenza temporale così come alla tolleranza fisiologica.
Abbiamo visto in questo articolo: come storicamente il 3 X 10 si sia diffuso tra i fisioterapisti, che un nuovo approccio potrebbe mostrarsi più indicato, sempre allenando la forza, per aiutare chi soffre di dolore cronico l’importanza di creare una scala soggettiva del dolore. Tutto ciò sarebbe inutile se dovessero mancare l’impegno, la voglia di cambiare e mettersi in gioco.
Qualsiasi programma di allenamento, senza la volontà non porta ad alcun risultato, sarebbe come sperare di mettersi davanti allo specchio dopo una sessione in palestra convinti di notare dei miglioramenti!
Un buon fisioterapista non solo conosce gli strumenti per aiutare il paziente, ma sa anche come stimolarlo dal punto di vista umano e dargli fiducia nei propri mezzi rompendo l’idea che il movimento porti dolore: o ancora meglio che il dolore provocato dall’esercizio fisico, sia un indicatore di danni ai tessuti. Luca Luciani
Dott.re in Fisioterapia
Fisioterapista, Imprenditore nel settore sanitario e Business Coach.
Dopo la laurea in fisioterapia, ha approfondito le sue conoscenze studiando osteopatia e terapia manuale. Si è specializzato frequentando i corsi di:
Ha frequentato aule con docenti internazionali come: